giovedì 29 dicembre 2011

Istanbul

Con i ricordi di Istanbul negli occhi e nel cuore, ecco un resoconto del nostro viaggio.Siamo partiti con il caldo di questo anomalo aprile e arrivati a Istanbul la temperatura era bassina, 10-12 gradi, un po’ di pioggia ci ha accolti all’aeroporto, ma appena il tempo di prendere i nostri bagagli, cercare l’autista dell’albergo, e il sole ha fatto capolino. Il viaggio dall’aeroporto al nostro hotel è stato breve. Abbiamo scelto la zona di Sultanahmet per soggiornare a Istanbul, tra la Moschea Blu e Aya Sophia, che potevamo ammirare dalla terrazza sul tetto dell’albergo. La scelta è stata azzeccatissima , il quartiere è tranquillo, da poco è diventato isola pedonale, ci sono le principali attrazioni da vedere.Il pomeriggio abbiamo ispezionato un po’ la zona e cenato con zuppa di lenticchie e köfte (polpette), tra l’altro già mangiate in aereo.La mattina successiva siamo stati svegliati dal canto del muezzin (anche se io ero già sveglia da un po’, come sempre), sono salita sulla terrazza per poter ammirare la mia prima alba ad Istanbul e scattare un po’ di foto alla mia amata Moschea Blu (ma quante volte l’avrò ammirata?). Abbiamo deciso di visitare subito la Cisterna Basilica, a due passi da Aya Sophia. E’ stata costruita nel ‘500, e si può visitare camminando su passerelle in mezzo alle sue 336 colonne. Seconda tappa la Moschea Blu, costruita nel 1500, fuori è imponente e molto bella, internamente un po’ delude, rispetto ad altre moschee. In seguito siamo andati al Grand Bazaar, dove ci si perde in mezzo ai negozi di lampade, tappeti, saponi. Abbiamo pranzato all’Havuzlu, un ristorante all’interno del Bazaar, si va davanti alla cucina dove sono esposte diverse specialità e si scelgono i piatti che si desiderano. Noi abbiamo scelto il kebab con riso e melanzane (patlican). Purtroppo in molti ristoranti non c’è il vino, pazienza. Alla fine del pranzo un bel thé alla mela, delizioso. Alla sera invece abbiamo cenato in un piccolo ristorante , con solo 20 posti, gestito da un’olandese, menu unico, quattro portate, un po’ nouvelle cuisine. A parte l’agnello che a me non piace, tutto il resto era molto buono, e finalmente gustato con un po’ di vino rosso. Il terzo giorno era stato concordato con una giovane ragazza italiana residente da otto mesi a Istanbul, scovata su Internet da mio marito, una visita di tre quartieri poco turistici, Fatih, Fener e Balat. Di solito non amiamo le visite guidate, ma trattandosi appunto di quartieri poco frequentati dai turisti, una guida che parlasse anche turco ci è servita. Ci siamo ritrovati con alcuni nostri connazionali davanti al Bazaar delle spezie. La prima visita è stata riservata ad una piccola moschea, la Rüstem Pasa Camii, vicino al Bazaar, e mi è piaciuta talmente tanto, che il giorno successivo ci sono voluta ritornare. I vicoli di questi quartieri sono molto pittoreschi, diverse case di legno, che all’apparenza sembravano disabitate, ma tutt’a un tratto vedi il fumo che esce da un camino, un piccolo cimitero privato, con qualche stele, panni stesi da un balcone all’altro, mercatini di quartiere dove vendevano pulcini e anatroccoli, case dipinte con tenui colori. La nostra guida ci ha portato per pranzo dal “suo pidaio”, come dice lei. Il pide, infatti è una specie di pizza lunga, dove sopra ci si può mettere carne, verdure, o altro. Io l’ho provato con carne e un uovo sopra, siccome avevo letto che è molto buono, e posso confermarlo. Mio marito ha provato il lahmacun, un altro tipo di pizza, sopra si mette dell’insalata e altra verdura e poi si arrotola per mangiare. Con una bottiglia di acqua e un thé alla fine, abbiamo speso una cifra ridicola: 5 lire turche, l’equivalente di 2.50 euro a testa. (Spero per la Turchia che non entri in Europa, altrimenti addio a questi prezzi). Dopo esserci rifocillati abbiamo continuato l’escursione e raggiunto la chiesa di S. Salvatore in Chora. Nata come chiesa nel ‘500, trasformata in moschea, con la copertura dei suoi stupendi mosaici con della calce in quanto la religione islamica non prevede l’utilizzo delle immagini di persone. Fortunatamente un accurato restauro l’ha riportata alle sue condizioni iniziali e ora si può ammirare in quanto trasformata in museo. Con questa ultima visita, la nostra intensa giornata con la guida è terminata e siamo rientrati nel nostro quartiere Sultanahmet, dove abbiamo visitato la piccola moschea Aya Sophia, che stava quasi chiudendo per l’ora della preghiera. Per cena abbiamo provato un ristorante consigliato dalla Lonely Planet, dove ci ha serviti un simpatico signore anziano, abbiamo mangiato zuppa di lenticchie e il pide, che mi piace molto, questa volta fatto come una specie di calzone, molto croccante. Questo ristorante ci è talmente piaciuto che la sera successiva abbiamo replicato. L’ultimo giorno abbiamo deciso di andare sulla sponda asiatica, che si raggiunge tranquillamente con venti minuti di traghetto, pagando 0.80 euro! E’ una Istanbul diversa, Kadiköy la nostra meta ci ha stupito già al nostro arrivo con i suoi semafori con il contasecondi, sia per le auto che per i passanti. Abbiamo girovagato un po’ nel variopinto mercato per concederci poi due thé in un bar e poter seguire la vita quotidiana dei suoi abitanti. Come da tradizione ho fatto un po’ di shopping alimentare: lenticchie rosse, burghul e thé alla mela. Qui pochi parlano inglese, ci si spiega un po’ a gesti e alla fine ti scrivono la cifra da pagare su un foglietto. Per pranzo siamo andati al Ciya Sofrasi, un ristorante che consigliamo vivamente, dove si mangia benissimo e da solo vale la trasferta. Anche qui si passa dal bancone della cucina, dove sono esposti i vari menu e si sceglie, metà porzione, porzione intera. Noi abbiamo provato agnello con melanzane, burghul, piccolo pide, polpette fritte, falafel (polpette di ceci). Anche in questo caso la spesa è stata irrisoria, 24 lire turche, 12 euro in due! Rientrando sulla sponda europea, abbiamo deciso di provare la crociera sul Bosforo, quella di 2 ore, senza effettuare soste. Il Bosforo non mi ha dato particolari emozioni, però la gita è piacevole e rilassante. Siccome al mattino eravamo passati dal Caferaga Medresesi, che è un ex-scuola coranica ora trasformata in Centro culturale e scuola di pittura, ci siamo tornati per acquistare diverse piccole ciotole di ceramica e un acquarello raffigurante un kaftano, che volevo assolutamente. In questa visita abbiamo conosciuto Josh, un artista che gestisce la galleria, ci ha offerto il thé nel chiostro di questa deliziosa struttura. L’ultima mattina ad Istanbul siamo andati in panetteria ad acquistare il pane arabo (simit) fatto a ciambella e ricoperto con semi di sesamo, di solito venduto dai venditori ambulanti, comperato un po’ di souvenir come l’Occhio di Allah, per scacciare la malasorte, e poi siamo andati a visitare Aya Sophia, che internamente è spettacolare, da rimanere a bocca aperta, tanto che al primo piano dove ci sono alcuni mosaici, non abbiamo nemmeno visto il divieto di usare il flash, ma i sorveglianti sono tolleranti. Vicino all’altare ci sono delle transenne perché è vietato entrare, ma qui tre gatti erano beatamente spaparanzati e si lasciavano fotografare, ricevendo carezze anche dai sorveglianti. In città si trovano moltissimi gatti, molto ben accuditi, infatti si vedono ciotole di cibo e di acqua ovunque. Dopo questa visita ho voluto andare ancora al Caferaga Medresesi che è proprio in una via laterale, e Josh, che ci ha subito riconosciuti, ci ha accolto festosamente, aperto la galleria e ci ha voluto regalare una pergamena raffigurante due tulipani, che sono un simbolo di Istanbul, e ha messo i nostri due nomi stilizzati. A questo punto abbiamo chiesto di potergli offrire da bere, ma lui ha insistito che eravamo suoi ospiti e si è intrattenuto con noi a chiacchierare. Purtroppo è arrivata l’ora di tornare in hotel a prendere i nostri bagagli, e sotto la pioggia, come al nostro arrivo, abbiamo salutato questa splendida città, ricca di storia e di fascino.

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